LA SPERANZA E' L'ULTIMA A MORIRE

Pandemia. Una parola che avevamo letto solo sui libri di storia o che era stata evocata dai media come possibilità spaventosa ai tempi dell’Ebola o della Sars. La febbre spagnola di un secolo fa, quella sì che è stata una pandemia terribile e, come sempre ha fatto l’uomo, nella sua infinita presunzione, non ha pensato che potesse succedere anche in questa epoca. Invece è successo e ci siamo dentro fino al collo. All’inizio in troppi hanno pensato che fosse solo “poco più di un’influenza”, anche quando quella città cinese dove tutto è iniziato, Wuhan, dodici milioni di abitanti - quattro volte gli abitanti di Roma - veniva blindata, chiudendo la gente dentro le case. Purtroppo non è stata, e non è tuttora, un’influenza un po’ più forte. Non poteva esserlo, altrimenti avrebbe significato che in Cina erano tutti impazziti e la popolazione la stavano chiudendo in casa così, per sport. Poi morì il medico cinese che aveva lanciato l’allarme, poi arrivarono i due turisti cinesi finiti allo Spallanzani. Ma ancora in troppi a minimizzare, purtroppo. E poi…l’ecatombe. Il virus che da un “paziente zero”, vicino vicino a Milano, esplode espandendo i suoi effetti nefasti a macchia d’olio, soprattutto in Lombardia. Chissà se è vero che uno dei detonatori sia stato davvero lo stadio di San Siro stracolmo per quella partita, Atalanta-Valencia. Forse sì, forse no, ma le potenzialità c’erano tutte, col senno di poi. Bergamo e le sue vicine valli teatro di scene tremende. Non siamo in guerra, anche se è una guerra contro un nemico invisibile e subdolo e, purtroppo, l’esercito è servito, ma solo per caricare le bare, a centinaia. “Andrà tutto bene” è stato lo slogan di un Paese rinchiuso in casa da quell’acronimo che ora tutti conoscono, non solo chi si occupa di politica e di Istituzioni: D.P.C.M. Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Canzoni cantate dai balconi ad una certa ora del pomeriggio e famiglie “fotografate”, proprio nel momento dell’inizio del blocco. Figli al nord a lavorare o studiare e famiglie al sud, a trepidare d’ansia e di paura per la sorte di quei figli all’Università o al lavoro, ovviamente dove il lavoro ancora un poco si trova…al settentrione, quando non a Londra, Parigi o addirittura negli Stati Uniti. Prima settimane lunghissime, poi mesi interminabili chiusi dentro casa. Quella casa dove ognuno sarebbe voluto stare un po’ di più, anziché andare a lavorare o studiare, ma che di colpo diventa stretta, peggio di un paio di scarpe nuove. Quegli scatti di nervosismo che anche le persone più miti e più dolci hanno avuto a un certo punto nei confronti di un coniuge o dei figli, persino dei nipotini. Una volta fecero un esperimento mettendo delle persone su una barca per una lunghissima traversata, costringendoli a vivere in spazi ristrettissimi. L’esito fu tremendo, al limite dell’omicidio reciproco. Ognuno ha bisogno del suo spazio vitale. Essere obbligati a non uscire per mesi mi ha fatto pensare spesso a quelli che dicono che: “…tutto sommato in galera stanno bene…hanno pure la televisione.” Nel frattempo, ogni sera alle diciotto, puntuale la conferenza stampa dalla Protezione Civile con quei numeri tremendi. Tremendi perché erano spropositati nel numero dei morti e dei nuovi ricoveri in terapia intensiva, spesso l’anticamera della morte, e terribili perché alla lunga i numeri fanno dimenticare a cosa sono realmente riferiti. E ti trovi a pensare a un funerale, una persona cara scomparsa, il dolore, il cordoglio, una bara… moltiplichi mentalmente quella bara per quasi mille ogni giorno e resti attonito. Ho letto in seguito l’intervista di uno dei militari che le ha trasportate dal cimitero di Bergamo… terrificante. E poi gli amici che si sono infettati, medici per lo più, e i conoscenti: “hai sentito, anche l’avvocato Tizio se l’è preso, e quello del negozio Caio, ti ricordi? E’ morto, a Chieti…” La morte. Col Covid 19 la morte è stata spogliata della dignità umana. A decine di migliaia costretti a morire da soli. Senza poter salutare e, soprattutto, essere salutati, essere accompagnati. Il carico di disumanità di questa pandemia forse sfugge ai più, soprattutto a chi, per sua fortuna, non ha subito una perdita. Nel mentre, una vita fatta di guanti, che non si trovavano già più, di mascherine, anche loro all’inizio introvabili, di disinfezione delle cose che portavi a casa, dopo averle comprate facendo la coda fuori dal negozio, con una sequenza di moduli di autocertificazione che cambiavano a seconda delle “fasi”. Perché allora, questa primavera, con le giornate che si allungavano sempre di più, ci sono state le fasi. Ora che le giornate si accorciano e che comincia a raffreddarsi l’aria, ci sono i colori. Già, ora! Perché finito il lockdown della prima ondata c’è stata la fase 2, poi la 3 e poi l’estate. Si ipotizzava a primavera che saremmo dovuti andare al mare circondati dal plexiglass e poi ci siamo ammassati tutti come prima. E hanno ricominciato quelli che ti prendevano in giro se ti mettevi la mascherina, quando si avvicinavano. E tutta un’altra serie di cose che sono successe, perché tanto ognuno pensa che a lui non possa succedere. Invece non è così, non è stato così. Non è andato “tutto bene”. Ci siamo illusi. Gonfiavamo anche il petto per il “modello italiano”, anche quando, al di là delle Alpi, erano di nuovo alte le fiamme dell’incendio. Questa illusoria tranquillità di tanti, troppi, mi ha fatto pensare molto alla questione dell’energia atomica. Certo, vogliamo tutti stare sicuri e la transizione energetica la vogliamo basare sulle rinnovabili ma, intanto, oltre ai costi maggiori che paghiamo, siamo esposti alle centrali che stanno oltre le montagne. Chernobyl ci ha dimostrato, invece, che basta il vento a sfavore. E siamo ripiombati velocemente nell’emergenza sanitaria. “Ma perché non è stato fatto niente questa estate?” Quando sento questa domanda in televisione penso che davvero o si fa finta di non conoscere o, senza fare finta, veramente non si sa niente. Che poi una domanda del genere mi sta bene se la fa una persona qualunque al bar, ma da giornalisti di testate nazionali non sono accettabili. Perché costoro non possono ignorare come funziona, anzi come non funziona, la macchina pubblica. I tempi della burocrazia, che poi sono legati direttamente a una giungla di leggi, norme, codicilli e compagnia cantante che, nei fatti, impediscono di fare le cose in tempi accettabili. Quest’estate cosa volete che si potesse fare? Hanno fatto i privati, proprio perché in quanto tali, non sono soggetti a lacci e lacciuoli, realizzando l’ospedale Covid nella Fiera di Milano, per esempio. Poi, siccome è lo sport nazionale dopo il calcio, tutti a criticare - soldi buttati - si diceva…ora, che le terapie intensive non bastano mai, non più. Ma non c’è solo la burocrazia a frenare. La pandemia ha messo davvero a nudo quella che, personalmente, reputo essere la maggiore contraddizione italiana: i poteri concorrenti tra Stato e Enti Locali, Regioni soprattutto. Quello che è successo e sta ancora succedendo è sotto gli occhi di tutti. Non entro nel merito in questa sede se non ricorrendo ad un detto popolare molto noto: “dove ci sono troppi galli a cantare non fa mai giorno”. Niente è una scienza esatta, forse solo la matematica, ma quando arriva la politica anche la matematica vacilla. E poi, va detto, i numeri in questo caso non sono nemmeno così “certi”… dipende da chi li comunica, come li comunica, cosa inserisce e cosa no…insomma una serie di variabili che portano ad avere una fotografia sfocata destinata alla valutazione del mitico CTS. Comitato Tecnico Scientifico. Personalmente pensavo che opinioni diverse, anche opposte tra loro, sulla stessa cosa, fosse patrimonio solo degli avvocati, dei giuristi, capaci, per mestiere, di scrivere tomi l’uno opposto all’altro, sulla base della propria tesi e interpretazione. Il diritto non è una scienza esatta perché passa per la soggettività. Mi sembra di capire che è la stessa cosa ora per la scienza, visto quello che tutti abbiano ascoltato e letto da questo vero e proprio esercito di virologi, scienziati, biologi ecc. ecc. Dopo gli chef, gli italiani hanno aggiunto un’altra categoria agli eletti dello schermo televisivo. Tutto e il contrario di tutto, come d'altronde hanno detto anche eminenti leader politici e/o presidenti di Regioni; di maggioranza e di opposizione. Quello che hanno chiesto il giorno prima è stato l’opposto del giorno dopo e, senza alcun problema, a volte tornando persino alla prima dichiarazione, come funamboli. In questo marasma, con il numero dei morti e dei ricoveri in terapia intensiva che ancora salgono spaventosamente, l’emergenza sanitaria ha portato un disastro economico e, a seguire, sociale i cui effetti, temo, dureranno molto tempo, anche dopo che questa bestiaccia verrà sconfitta… presto, come ci auguriamo tutti. Già la prima ondata ha provocato danni ingenti all’economia, tranne quei pochi settori che addirittura hanno incrementato i propri affari, ora con questo secondo tsunami si rischia davvero seriamente il peggio. Basta vedere i numeri che dichiara la Caritas ma che, soprattutto, basta guardarsi attorno, ognuno nel suo piccolo. Il Paese si sta indebitando fino al collo e tutti sperano in questo salvifico Recovery Fund che, spero proprio, possa aiutare ma che, temo, subirà gli stessi effetti negativi dal sistema di competenze concorrenti tra Stato e Regioni e dalla burocrazia. Un sistema che non rende effettive riforme, leggi e azioni concrete. Pochi anni fa la questione della riforma costituzionale del Titolo V era stata rimessa al centro dell’agenda della politica e delle classi dirigenti del Paese. Chissà che non sia il caso di riprenderla velocemente. Se non dopo tutto quello che è successo, quando? Perché, mentre tutti stiamo aspettando un vaccino che miracolosamente rimetta tutto come prima, come prima non sicuramente sarà il debito pubblico, il cui rapporto con il prodotto interno lordo sta viaggiando oltre il 160%, con prospettive di ripresa davvero esigue se non inesistenti, nel breve periodo. A chi lasceremo questo debito esorbitante lo sappiano tutti: figli e nipoti. Ma che ora non si possa fare altrimenti è altrettanto chiaro. Bisogna, però, evitare di sprecare questi soldi, almeno quelli che dovrebbero arrivare dall’Europa. Per farlo non sono certo utili faziosità e interessi parziali. E qui c’è un altro aspetto che il Covid-19 ha fatto esplodere, vale proprio la pena di dire, nella sua virulenza: le divisioni. Troppe. A volte veramente fuori luogo. Persino la mascherina è stata usata come simbolo politico. Ma vi pare che la mascherina, un presidio per salvare la vita, debba essere di sinistra o di destra? Fino a questo punto si è dovuti arrivare? Salvo poi, miracolosamente, quando la bestia ha ricominciato a uccidere a centinaia al giorno, tornare ad essere definita da tutti “importante presidio da indossare”. Adesso siamo nella situazione dei colori cangianti. C’è chi si trova colorato di giallo, ma sono sempre meno, chi colorato di arancione e chi di rosso e siamo tornati a chiederci la sera: “quanti sono stati i morti oggi? - La percentuale sale o scende?” - “Hai sentito nella casa di riposo di Lanciano, quanti…?” - “Ma a Pescara quante terapie intensive hanno ancora disponibili?” – “Anche il fornaio è positivo”. Già, ma l’imperativo più diffuso sembra essere: “ma ci fanno fare Natale coi nostri?”. Che poi è come chiedere a chi fa i decreti se puoi essere sano o no. No! Non è un D.P.C.M. che può farci fare il Natale coi nostri, come speriamo tutti, ma è solo la sconfitta della bestiaccia che può liberarci tutti. Tra una teleconferenza e l’altra, in questa ubriacatura di smartworking che di smart non ha nulla, la speranza è il vaccino. Ogni giorno se ne parla di più e ogni giorno sembrano essere di più le case farmaceutiche che lo annunciano. Speriamo che arrivino presto e, soprattutto, che funzionino. Gettando, come all’inizio, uno sguardo verso la Cina pare che lì le cose si siano rimesse a posto o quasi. E’ una buona notizia per sperare che davvero il Natale porti questo regalo a tutti, perché più tempo passa e più è improbabile che possa tornare tutto come prima. Come prima non lo sarà più, per mille motivi ma, almeno che, imparando dagli errori, dalle fragilità e dalle contraddizioni che la pandemia ha evidenziato, che sia meglio di prima. La speranza è sempre l’ultima a morire. Giovanni LUCIANO

Commenti

  1. Bellissima analisi, la lettura dei tuoi articoli è piacevole e ricca di riscontri oggettivi, che mettono al nido la realtà.
    Ciao e buona giornata.

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