REFERENDUM! REFERENDUM?



REFERENDUM! REFERENDUM?

28 ottobre 2018. Il referendum dell’11 novembre prossimo per privatizzare l’Atac di Roma ripropone l’annosa discussione se, nei servizi pubblici locali, sia meglio la proprietà pubblica o quella privata. Si possono fare molti esempi della bontà dell’uno rispetto all’altro e viceversa, ma non è così automatico che a proprietà privata corrisponda efficienza e qualità del servizio, anzi. Nel trasporto pubblico locale (t.p.l.), proprio a Roma, vi sono esempi emblematici di ciò, non c’è solo l'Atac. In Italia, come sanno bene quelli che se ne occupano, in molte realtà ci sono esempi di buona gestione del pubblico, così com’è anche vero che ce ne sono anche di pessimi, con servizio che lascia a desiderare e altissimi costi per le tasche dei contribuenti. Di contro vi sono anche casi di gestione del privato molto scadenti e con servizi di scarsa qualità. Qual è la ricetta giusta? Pubblico o privato? A mio modesto parere la questione sta nel manico e non nella proprietà. E il manico in genere è il management. Se votassi a Roma per quel referendum voterei No, convintamente. Ma è indubbio che il problema Atac, come quello di Tua (Trasporto Unico Abruzzese) di casa mia o di mille altre aziende, non solo al sud, sta nell’invadenza della proprietà pubblica. Le aziende non vanno guidate dagli assessori ma dagli amministratori delegati. Una volta data la strategia sul servizio, il politico di turno deve lasciar fare e non infilarsi nella gestione. L’ideale sarebbe un sistema di proprietà pubblica con gestione di tipo privatistico, modello Poste Italiane o FSI per esempio. Si può fare? Secondo me sì. Che si voglia fare ho fortissimi dubbi. Le aziende pubbliche, non solo del t.p.l., sono serbatoi elettorali e luoghi ove sistemare questo o quello, nei c.d.a. e non solo. Penso, però, che se anche vincesse il Sì a Roma, gli effetti auspicati dai promotori del referendum tarderebbero a venire, anzi, probabilmente ai problemi già presenti si sommerebbero  anche altri aspetti negativi, legati al bisogno  dell’operatore privato di dover fare profitto, anche oltre il contratto di servizio che, eventualmente, si dovesse aggiudicare. Insomma, la questione è complessa, e passa per una serie di variabili anche esterne all’Atac che non possono essere banalizzate con un Sì o un No. Corsie preferenziali, investimenti, procedure, piani della viabilità, ecc. 
La considerazione di fondo è che il t.p.l. potrebbe essere un'industria trainante in Italia, ma così non è, purtroppo. Basti pensare che per migliorare la situazione complessiva non sono bastati i “disincentivi” economici alle Regioni che non bandiscono gare per l’assegnazione del servizio.  Quasi nessuna amministrazione regionale, provinciale o comunale ha voluto mollare l’osso, anche a costo di tanti milioni di euro in meno di trasferimento dal Fondo nazionale del t.p.l.- Ciò detto, però, è d’obbligo ragionare su come cambiare le cose. Perché il referendum a Roma può vincerlo anche il No, ma il problema resta tutto: cattivo servizio e ricadute negative sul personale, basta guardare in giro per l'Italia. Spero molto che, mentre si sostituisce il pallottoliere con la bilancia, chi di dovere ci stia pensando. 

LONG JOHNN


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