STRADE E AUTOSTRADE - ALLIANZ E ALBIANO M.- CAMBIARE NO?!?

09 Aprile 2020 - Le immagini del ponte crollato ad Albiano Magra, insieme alla notizia del possibile ingresso dei tedeschi di Allianz nel capitale di Autostrade per l’Italia, addirittura al 51%, rilancia la questione irrisolta della situazione di strade e autostrade nel Paese. Per la questione Allianz nel capitale di ASPI c’è da augurarsi che la notizia non abbia fondamento. Avrebbe del paradossale se andasse a finire così. 

Per avere un’idea completa su questo monopolio naturale bisognerebbe approfondire il contesto storico, sociale e culturale, dagli anni ’30 del secolo scorso ad oggi. Ripercorrere come sono nate le autostrade e per quali scopi; chi le ideò e finanziò all’inizio e così via fino ai giorni nostri per poi giungere, ognuno per proprio conto, alla conclusione di cosa augurare al Paese circa questa infrastruttura vitale, spina dorsale della penisola, non solo in senso geografico del termine ma, evidentemente, dal grande valore economico e antropologico.

I possibili scenari principali possono essere essenzialmente due: il sistema delle concessioni resta in piedi oppure lo Stato riprende possesso pieno della disponibilità del suo bene o, perlomeno, della maggioranza delle quote azionarie, laddove si pensasse di mantenere la formula della S.p.A. Ciò potrebbe avvenire tramite un’azienda a controllo pubblico come, ad esempio, Anas Spa, oppure con una newco creata ad hoc, che “vada oltre“ la stessa Anas nella gestione dell’intera rete viaria nazionale, compresa quella ora di competenza delle province e delle regioni.

Nella prima ipotesi, quella di mantenere un sistema concessorio delle autostrade, non si dovrebbe prescindere da una sorta di azzeramento della situazione, con una revisione strutturale delle concessioni basata innanzitutto sulla massima trasparenza; purché preliminare, non certo successiva a causa di una tragedia, come è già avvenuto per il ponte Morandi a Genova. Che poi la situazione di criticità manutentiva sembra essere molto più estesa e andare ben oltre il solo infausto crollo sul Polcevera. 
Innumerevoli restringimenti di carreggiata, per esempio, hanno provocato code infinite dovuti ai provvedimenti di sequestro dei guard-rail su 21 viadotti (su A1-A14-A16). 
Nel periodo natalizio del 2019 sull’Adriatica, A14 Bologna Taranto, si sono registrati tempi di percorrenza anche di otto ore per raggiungere Ancona da Pescara (160 km) e viceversa. Andare dalla Puglia a Bologna necessitava del tempo che una volta dovevano impiegare gli antichi romani. Battute a parte, i sequestri in parola sono stati operati dalla Procura della Repubblica di Avellino, titolare dell’inchiesta per la “strage di Acqualonga”, dove nel luglio del 2013 morirono 40 persone che erano a bordo di un pullman di pellegrini che sfondò le barriere precipitando nel vuoto sulla A16 Napoli-Candela, nel territorio del comune di Monteporzio Irpino. Non solo, su molti viadotti tra quelli non interessati dal provvedimento della Procura Irpina, si è dovuto operare il restringimento di carreggiata e il distanziamento dei veicoli ad almeno 100 metri per evitare carichi eccessivi ai viadotti ritenuti a rischio.

Insomma, una situazione generale di degrado e di potenziali rischi che dovrebbero essere valutati con serena fermezza e senza isterismi o tifoserie, ma sicuramente con un occhio obiettivo. Perché i fatti storici e l’attualità hanno dimostrato che ci sarebbe molto da rivedere e in profondità. Non è solo Genova o il Morandi il problema.

Gare? Bene, che gare siano, ma solo per la gestione, non certamente anche per la realizzazione degli investimenti e della manutenzione, che è giusto che vengano anch’esse poste in gara con il divieto di partecipazione di aziende o gruppi riconducibili agli assegnatari della concessione. Quello che è successo nel passato e che sta, tuttora, succedendo è sotto gli occhi di tutti. Bisognerebbe porre fine a certe situazioni dove il business dei lavori per gli investimenti da realizzare alimenta la rendita della concessione e viceversa. Uno schema di business “dopato” che è soggetto a troppi condizionamenti di convenienza che non possono, anzi non devono, essere innestati sulla concessione di un’infrastruttura di proprietà dello Stato, costata così tanto ai cittadini, ormai anche in termini di vite umane.

Sulla seconda ipotesi bisognerebbe, invece, chiedersi cosa sia più utile per l’Italia in quest’ambito innervato intimamente negli aspetti sociali ed economici nazionali considerando che lo stato della manutenzione in cui versano mediamente le strade italiane è sotto gli occhi di tutti. Molti motociclisti si sono visti costretti a cambiare la propria motocicletta da strada per passare all’enduro. Per transitare sulle strade italiane occorre avere il fuoristrada. D’altronde anche con l’automobile la cosa non cambia molto. Volendo fare un altro esempio, che la dice lunga sul generale degrado dei manti stradali, seppur riferito ad una strada comunale, si può osservare che nel centro di Roma, per tutta via Nazionale, ci sono cartelli che indicano la velocità massima di trenta chilometri orari con la dicitura “strada dissestata”. Certo, tra via Nazionale e le autostrade vi sono diverse situazioni di competenze e di gestione, ci sono le strade regionali e provinciali che sono mediamente fonte di gravi e pericolosi disagi per i cittadini. Non è un caso che i dati dell’Inail dicono che più della metà degli incidenti mortali in occasione di lavoro, compresi gli infortuni in itinere, succedono sulle strade. 

E’ quindi giusto porsi il tema di un ripensamento generale della questione viaria italiana a tutto tondo, dalle stradine comunali alle autostrade? 
I guadagni che hanno realizzato i gestori privati in questi decenni, per i quali si lascia al lettore la scelta dell’aggettivo preferito, potevano essere utili alla collettività per non far degradare la situazione manutentiva dell’intera rete viaria fino a questo punto?
Gli investimenti, in nuove realizzazioni, in manutenzioni ordinarie e straordinarie, non potevano forse essere realizzati dallo Stato attraverso aziende di sua proprietà? Forse che per realizzare o manutenere l’Alta Velocità, il Gruppo FSI, posseduto al cento per cento dal Ministero dell’economia e delle finanze, non è riuscito, o non riesca tuttora a farlo, tramite le sue società Italferr e RFI? 
Ovviamente non solo la rete dell’Alta Velocità, bensì tutti i 17.000 chilometri di rete ferroviaria.

Si può pensare a una società posseduta, o perlomeno controllata, dallo Stato che tramite i proventi dei pedaggi manutenga e ammoderni la rete autostradale e anche la rete viaria nazionale, andando oltre l’ambito attuale di Anas.
Impossibile? Irrealizzabile? La cospicua documentazione relativa ai contratti di concessione e ai bilanci ampiamente positivi, pubblicati dalle società concessionarie e relativi agli anni trascorsi dall’inizio di queste vicende dicono che è possibile. Che sarebbe stato possibile. Che può essere.
Così come, volendo ragionare avendo una visione più ampia, una società di questo tipo, dedicata alle strade, non starebbe male in un soggetto ancora più ambizioso di gestione pubblica delle reti, materiali ed immateriali. Significherebbe fare un necessario salto di paradigma, dal provincialismo servile, a beneficio di rapaci parvenue che dalla fine degli anni ottanta hanno fatto affari con la cosa pubblica, ad una struttura imprenditoriale, pubblica, moderna, capace di fare massa critica in termini progettuali, realizzativi e gestionali per intercettare il fiume dei finanziamenti comunitari vincolati a progetti di opere connesse alle reti TEN: Trans-European Networks. TEN-T per le reti e per le infrastrutture al loro servizio, nei trasporti; TEN-Energy e TEN-Communications o e-TEN, ovvero reti e infrastrutture per l’energia e per le comunicazioni. Perché no? E’ più giusto nazionalizzare compagnie aeree, che erogano servizi, considerandoli asset e i veri asset, le infrastrutture, lasciarle in mani private, con i risultati che abbiamo visto, che poi le vendono fuori Italia? Allianz!?!? 
Dipendesse da me saprei cosa scegliere.

LONG JOHNN

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